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Parigi come Baghdad

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Con l’attentato di Parigi, il secondo quest’anno, di venerdì 13 novembre, diventa evidente che il sedicente Stato islamico ha deciso di portare gli attacchi terroristici nel cuore delle capitali europee che partecipano in Siria alla spedizione anti Isis. Parigi come Beirut, Kabul, Gaza, Baghdad, Islamabad, Londra, New York, Boston e si potrebbe continuare, purtroppo.

 

Quello che i terroristi hanno voluto colpire questa volta è lo stile di vita del nostro mondo occidentale, non simboli religiosi, ma quelli laici di un normale venerdì sera: la partita di calcio allo stadio, un concerto rock, una serata al bistrot con gli amici. Una sera qualsiasi, una location tranquilla, non a rischio, secondo un normale ragionamento che non attribuisce particolare valore simbolico ad un locale dove si ascolta musica dal vivo ed ecco che di colpo un terrorista si fa esplodere e un altro fa strage di giovani impugnando un kalashnikov. Ormai non c’è luogo in Europa che possa dirsi al sicuro dal pericolo del terrorismo islamico.

 

Gesti non umani li ha definiti Papa Francesco. Uccidere, massacrare gente inerme senza una ragione non è umano, questo è evidente a tutti, ma non è a ben vedere neanche animale, perché gli animali uccidono altri animali per una ragione, o per fame o per difesa. Come si reagisce a questa situazione che provoca angoscia e lascia dentro ciascuno di noi un senso di rabbia e impotenza? Con la legge dell’occhio per occhio, dente per dente? O ci sono altre vie? Sicuramente nell’immediato occorre una mobilitazione unitaria di tutte le Nazioni civili, possibilmente sotto l’egida dell’Onu, contro l’Isis che porti il più velocemente possibile alla sua sconfitta militare. In questo caso, l’azione sarà più efficace politicamente quante più nazioni “islamiche” parteciperanno alla coalizione.

 

Ma il passo successivo a nostro giudizio dovrà prevedere una forte azione politica e culturale per cercare da un lato di porre fine, non con le bombe ma con le parole scritte sotto forma di trattati e accordi, ai molteplici conflitti che da troppo tempo affliggono il Medio Oriente, iniziando da quello israeliano palestinese. Finché un bimbo israeliano avrà negli occhi l’orrore delle esplosioni dei razzi di Hezbollah sulla sua città e un bambino di Gaza crescerà con la visione dei carri armati israeliani che sparano a suo fratello più grande o a suo padre, non ci potrà essere pace in quella regione.

 

Occorre che i leader delle nazioni più influenti del mondo escogitino il modo di convincere i leader di quei popoli a trovare il modo di vivere insieme in pace in Palestina. Solo così potranno nascere e crescere giovani generazioni che non avranno negli occhi e nei cuori immagini di guerra, di dolore e di rabbia con l’inevitabile certezza che crescendo quei sentimenti si trasformino in desiderio di vendetta.

 

Ormai è chiaro che non ci sono alternative: con l’uso della forza non si è ottenuto quanto auspicato, da nessuna delle parti in causa. La democrazia, il rispetto dei diritti umani, i temi tanto cari al mondo occidentale, non si possono imporre con la forza e l’uso delle armi ai popoli, ma attraverso un lavoro che deve essere di tipo politico e culturale, fermo restando che questi medesimi valori devono essere accettati consapevolmente dalle popolazioni per far sì che portino in quelle società un reale cambiamento e diano frutti. E’ un processo lento, un lavoro continuo che va sostenuto da tutti gli uomini di buona volontà, di qualsiasi fede essi siano, ognuno può e deve fare la sua parte nel proprio quotidiano senza dimenticare però che l’esito rimane incerto.

 

Necessita quindi cambiare strategia per raggiungere l’unico vero risultato che conta: riportare la pace in Medio Oriente. D’altra parte come scrisse il grande scienziato Albert Einstein, follia è fare sempre la stessa cosa e aspettare risultati diversi. Il mondo di oggi ha quanto mai bisogno di nuovi leader, che non siano necessariamente giovani di età (di esempio la figura di Papa Francesco che si impone a tutti per la sua autorità morale associata ad una personale ed umana autorevolezza), ma giovani di idee e desiderosi di impegnarsi per un reale cambiamento di mentalità e di approccio al problema medio orientale. Solo così vedremo la luce in fondo al tunnel che il mondo intero sta percorrendo.

 

Perché una cosa è certa: non sappiamo se questa che stiamo vivendo sia la terza guerra mondiale, ma sicuramente è una guerra globale che interessa tutte le Nazioni ed è una guerra tra due visioni differenti del mondo che devono trovare il modo di convivere in pace implementando la reciproca conoscenza e il reciproco rispetto.

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